2019-02-06

SKILLS MANAGEMENT

Il manager come maestro

Sappiamo bene che ogni manager deve essere innanzitutto coraggioso nell’affrontare la quotidianità del suo ruolo, ma lo deve essere soprattutto quando si occupa di formazione e dello sviluppo dei suoi collaboratori e della sua squadra. Deve avere il coraggio di mettersi continuamente in discussione. Deve prendere coscienza che lungo tutto il suo percorso professionale ha al suo fianco un insidioso compagno: lo spettro del modello perfetto.

Ruggero Bacone, uno dei maggiori pensatori dell’umanità, è stato il pioniere del metodo della conoscenza raggiunta tramite l’esperienza. Il frate francescano ci ha lasciato una significativa eredità: c’è differenza fra il raccogliere informazioni e l’imparare le cose attraverso l’esperienza diretta. Nel suo Opus Maius scrive: “Esistono due tipi di conoscenza, per argomenti e per esperienza. Le discussioni portano a conclusioni e ci costringono a convenire, ma non provocano la certezza né eliminano i dubbi lasciando la mente in pace nella verità, a meno che non intervenga l’esperienza”.

Ed è proprio l’esperienza a insegnarci, ieri come oggi, che la teoria è che non esiste “la teoria”. Non esiste un’unica soluzione, o se preferite, un unico modello in grado magicamente di risolvere tutti i problemi.

Ogni impresa umana, sia sul piano individuale sia su quello collettivo, si trova ad affrontare situazioni che sono diverse a seconda dei periodi storici e/o dei contesti. Soprattutto sono inserite nella complessità relazionale che caratterizza la nostra vita.

A ben osservare, tutti gli eventi sono collegati a tutti gli altri eventi. Se si considera una propria azione oppure una realizzata da qualunque altra persona, si scoprirà che è stata provocata da uno fra i molti possibili stimoli, e che non è mai un’azione isolata. Ha delle conseguenze, molte delle quali possono risultare inaspettate.

È un’illusione credere che il mondo funzioni sempre grazie a schemi preordinati. Ciò vale anche per le organizzazioni umane, comprese le aziende. Però ci affanniamo a sviluppare teorie, modelli o rappresentazioni che non riusciranno mai a identificare l’origine delle grandi scosse che ci colpiscono.

La storia e le società non strisciano, passano da una frattura all’altra con qualche vibrazione nel mezzo. Ciononostante ci piace credere in una progressione continua che procede per piccoli incrementi, sempre lineari e positivi. Come evidenzia Nassim Taleb in un suo stimolante libro, siamo come il tacchino che ogni giorno viene alimentato e che acquisisce la consapevolezza di una realtà bellissima nella quale viene amorevolmente accudito per scoprire la vigilia del giorno del Ringraziamento che la realtà è anche altro.

Il buon manager-maestro è, quindi, colui il quale sa riconoscere che abbiamo un’incapacità genetica di affrontare la complessa struttura del mondo e sa condividere con le persone che lo circondano questo aspetto; è inoltre cosciente che noi membri della varietà umana dei primati siamo avidi di regole e modelli perché abbiamo bisogno di ridurre le dimensioni delle questioni in modo da farcele entrare in testa meglio, e sa aiutare gli altri a superare questa rigidità.

La capacità di sviluppare pensiero, non il pensare a schemi, è quindi l’approccio che un buon manager-maestro può regalare ai suoi collaboratori-allievi.

Sviluppare pensiero, condividerlo con gli altri in un continuo interscambio, sperimentare il pensiero nell’attività pratica e tornare a sviluppare pensiero. Questo è il processo che ha consentito all’umanità di imparare a evolvere.

La funzione principale del manager-maestro è, quindi, di stimolare il processo di apertura mentale perché, come ci ha tramandato il saggio poeta persiano Gialal al-Din Rumi, “apri la porta della tua mente al vagabondo della comprensione, perché tu sei povero e lui è ricco”.

Il manager-maestro è più di qualcuno che sta passando una conoscenza ufficiale; più di qualcuno che è in uno stato di armonia con chi impara; più di una macchina che comunica una parte di un gruppo di informazioni disponibili in forma preconfezionata. E sta insegnando qualcosa che è più di un metodo di pensare, o di un atteggiamento verso la vita; più anche di una potenzialità di auto-sviluppo.

È innanzitutto una persona in continuo cambiamento, carico di domande e dubbi. L’uomo che non cambia mai, non può essere un buon maestro.

Il manager-maestro si deve sforzare di rendere disponibile al collaboratore-allievo il materiale per sviluppare la sua coscienza e le sue capacità. Come guida egli mostra la via, ma lo stesso aspirante deve compiere il cammino. Il maestro è il legame fra il discepolo e lo scopo. Perché ognuno deve imparare ad essere innanzitutto maestro di se stesso.

Chi fa il manager o il formatore di professione deve avere il coraggio di ri-formare se stesso per poter offrire una valido contributo all’evoluzione delle organizzazione nelle quali interviene.

Chi dirige le organizzazioni deve far proprio il fatto che è più rilevante avviare e mantenere un continuo processo di apprendimento che coinvolga tutte le persone piuttosto che imporre occasionalmente interventi di adeguamento.

E il buon maestro deve ricordare che il suo scopo è raggiunto nel momento in cui le persone camminano con le proprie gambe e lui è diventato “inutile”.

Federico Castelletti Cazzato & Nicola Longo

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