I licenziamenti collettivi alla luce della recente ordinanza 15401/2020
A cura di Sergio Antonelli e Gloria Bellini
Con la recente ordinanza del 20 luglio 2020, n. 15401, la Corte di Cassazione cambia orientamento sulla definizione di licenziamento ai fini delle procedure di licenziamento collettivo ai sensi della L. 223/1991.
La Suprema Corte ha infatti stabilito che nei “cinque licenziamenti nell’arco di centoventi giorni” che fanno scattare l’obbligo di attivazione della procedura di informazione e consultazione sindacale rientri anche “ il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, ad una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso, da cui consegua la cessazione del contratto di lavoro, anche su richiesta dal lavoratore medesimo [..]“: la fattispecie specifica, una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta per mancata accettazione da parte del lavoratore del trasferimento.
La giurisprudenza italiana maggioritaria aveva finora tradizionalmente inteso il termine licenziamento in senso tecnico, escludendo dal novero ai sensi dell’art. 4 L. 223/1991 ogni diversa ipotesi – tra cui la risoluzione concordata del rapporto di lavoro (e.g. dimissioni incentivate, prepensionamenti), anche quando riconducibile alla medesima operazione di riduzione delle eccedenze della forza lavoro che giustifica il ricorso ai licenziamenti. Con la pronuncia in esame, gli ermellini sembrano abbandonare tale orientamento e conformarsi invece alla giurisprudenza comunitaria, che ritiene riconducibile al licenziamento anche alcuni casi di “cessazione del contratto di lavoro” tra cui quelli determinati dalla modifica unilaterale da parte del datore di lavoro delle condizioni sostanziali del rapporto di lavoro (ad esempio, quelle relative alla fruizione dei premi di anzianità al rifiuto della quale da parte dei dipendenti scatti automaticamente la risoluzione del rapporto cfr. C-148/16).
I primi commenti su tale innovativa sentenza si sono mossi su due principali linee interpretative: la prima, secondo la quale nella nozione di licenziamento collettivo non rientra solo la fattispecie del recesso datoriale tecnicamente inteso bensì anche quelle ipotesi in cui la risoluzione, pur non derivando formalmente da un atto di licenziamento, è comunque riconducibile a una riorganizzazione aziendale da cui sia derivata una modifica sostanziale delle condizioni del rapporto di lavoro; la seconda, secondo la quale sono da ricomprendere nel concetto di licenziamento tutte le fattispecie in cui, a prescindere dalla forma del recesso, il datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del dipendente, a una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso e senza necessità di una riorganizzazione sottostante (potrebbero dunque essere ricomprese le dimissioni nell’ambito di accordi di prepensionamento oppure quelle conseguenti ad un trasferimento d’azienda).
Alla luce di quanto sopra, si possono prevedere le non poche possibili conseguenze sul piano pratico; da ultimo, dovrà essere riservata particolare attenzione alle risoluzioni consensuali intervenute all’esito della procedura di pre-licenziamento ex art. 7 L. 604/66 – ma originate dall’intenzione del datore di licenziare – che sembrano poter rientrare nell’ambito della nozione di licenziamento e, dunque, rilevare ai fini degli obblighi previsti dalla procedura collettiva.
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