La Corte di Cassazione spagnola si pronuncia a favore della deducibilità dei compensi degli amministratori
a cura di Enrique Rebés Félix
Pavia e Ansaldo SLP
Recentemente la giurisprudenza della Corte di Cassazione spagnola (il Tribunal Supremo) si è espressa in merito alla deducibilità dei compensi degli amministratori nell’ambito dell’Imposta sul reddito delle società. La sentenza dello scorso 27 giugno 2023 ha infatti chiarito aspetti importanti sul punto, che era stato oggetto nell’ultimo decennio di pronunce contraddittorie da parte dell’Agenzia delle Entrate spagnola (la Agencia Tributaria) e dei tribunali spagnoli di diverso grado.
Nel merito, la sentenza qui in commento si è pronunciata a favore della deducibilità ai fini dell’imposta sul reddito delle società degli importi corrisposti a due amministratori, che venivano remunerati dalla società sia in virtù della carica ricoperta che come lavoratori subordinati.
In particolare, nel caso di specie, sebbene fosse pacifico che gli emolumenti soddisfacessero i requisiti di corretta contabilizzazione e debito accreditamento, la deducibilità veniva contestata in base alla possibile qualificazione del compenso come liberalità e spesa contraria all’ordinamento giuridico, voci per cui è negata la deducibilità ai sensi della legge sull’imposta sul reddito delle società spagnola.
Tuttavia, la Corte ha rilevato che le remunerazioni a favore degli amministratori non possono essere considerate automaticamente una liberalità solo ed esclusivamente per il mancato rispetto di una formalità di natura societaria, come nel caso analizzato, in cui tali emolumenti non erano stati approvati dall’assemblea dei soci. E ciò in quanto, in primis, era stata dimostrata l’indiscutibile onerosità dei pagamenti e, in secondo luogo, poiché la forma e l’importo della remunerazione poteva essere desunta dalla redazione della relativa clausola statutaria. Allo stesso modo, la Corte ha respinto la possibilità che il compenso potesse essere incluso tra le spese derivanti da azioni contrarie all’ordinamento giuridico (e, quindi, non deducibili a fini fiscali), poiché tale inquadramento è riservato esclusivamente a comportamenti manifestamente illegali, intesi in senso grave, come tangenti o atti analoghi.
A nostro giudizio, con la citata sentenza, la Corte lascia quindi spazio a un’interpretazione più chiara e meno rigida della disposizione della legge sull’imposta sul reddito delle società, che rifiuta la deduzione della spesa, consentendo di ritenere il compenso degli amministratori deducibile anche in presenza di difetti formali di carattere societario, a condizione comunque che le circostanze di ciascun caso permettano di concludere per la natura onerosa della remunerazione, nonché la determinazione del suo importo in conformità con lo statuto della società.
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