2020-03-17

L’EMERGENZA EPIDEMIOLOGICA DA «COVID-19»

L’emergenza epidemiologica da «COVID-19» 1 in atto nel nostro Paese ha importanti ricadute sui rapporti di lavoro dipendente. Dal punto di vista normativo, la situazione è particolarmente fluida e in continuo aggiornamento: occorre, quindi, mantenerla costantemente monitorata, perché ciò che è valido oggi, potrebbe non esserlo più domani. Le informazioni di seguito riportate sono aggiornate al DPCM 11 marzo 2020, recante “misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale” e al Protocollo sottoscritto il 14 marzo 2020 dalle Parti Sociali, su invito del Presidente del Consiglio dei Ministri, in attuazione dell’art. 1, comma 1, n. 9), del sopramenzionato DPMC 11 marzo 2020.

1.       L’obbligo datoriale di tutelare l’integrità psico-fisica dei lavoratori

 In termini generali, il datore di lavoro è giuridicamente tenuto ad adottare tutte le misure di sicurezza necessarie a garantire l’integrità fisica e la personalità morale dei suoi dipendenti e, in base al D.lgs. 81/2008, ha la specifica “responsabilità di tutelare i lavoratori dall’esposizione a rischio biologico”, quale è certamente il caso del virus SARS-CoV-2.

Al fine di agevolare le imprese nell’adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio, il 14 marzo 2020 le Parti Sociali – in attuazione dell’art. 1, comma 1, n. 9), del DPMC 11 marzo 2020, che, in relazione alle attività produttive, ha raccomandato intese tra organizzazioni datoriali e sindacali – hanno sottoscritto un “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del Covid-19 negli ambienti di lavoro”.

Anche in attuazione del Protocollo, è, anzitutto, opportuno che, previa consultazione con il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP), il Medico Competente e il rappresentate dei lavoratori per la sicurezza (RLS), nel caso anche territoriale (RLST), il datore di lavoro:

  • proceda a una nuova valutazione del rischio, anche biologico, e al relativo aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), dando conto delle misure precauzionali assunte per tutelare i propri dipendenti dal rischio di contagio;
  • predisponga appositi protocolli anti-contagio – in linea con le indicazioni concordate dalle Parti Sociali, a livello nazionale, nel Protocollo del 14 marzo 2020

– aggiornando le procedure e i piani di emergenza (che dovranno essere tempestivamente portati a conoscenza dei lavoratori) tenendo conto delle specificità di ogni singola unità produttiva e delle situazioni territoriali;

  • predisponga la documentazione informativa sulle precauzioni anti-contagio e sulle condotte da tenere sul posto di lavoro e sui numeri di emergenza aziendali, regionali e nazionali da contattare, consegnando e/o affiggendo all’ingresso e nei luoghi maggiormente visibili dei locali aziendali, appositi depliants informativi (che riportino, tra il resto, l’obbligo di rimanere al proprio domicilio in presenza di febbre o altri sintomi influenzali e di chiamare il proprio medico e l’autorità sanitaria, e l’obbligo di dichiarare tempestivamente il manifestarsi di tali sintomi anche successivamente all’ingresso in azienda, ecc.);
  • attui il massimo utilizzo di modalità di lavoro agile o smart working per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza (v. infra);
  • disponga la sospensione delle attività nei reparti non indispensabili per la produzione (v. infra) e, comunque, provveda al contingentamento di accessi e spostamenti all’interno dei locali aziendali (g. locali mensa o bagni);
  • adotti tutte le misure necessarie per garantire la sanificazione degli ambienti di lavoro, assicurando la pulizia giornaliera e la sanificazione periodica dei locali, degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni (nonché, in particolare, a fine turno, delle tastiere, degli schermi touch, dei mouse, ecc.), con adeguati detergenti, sia negli uffici sia nei reparti produttivi, con la possibilità di organizzare interventi particolari/periodici di pulizia ricorrendo agli ammortizzatori sociali, anche in deroga (v. infra);
  • provveda all’aggiornamento del Documento unico per la valutazione dei rischi interferenziali (DUVRI) predisposto in relazione a contratti di appalto e della documentazione informativa da mettere a disposizione di eventuali terzi che dovessero accedere ai locali aziendali e/o entrare in contatto con i dipendenti, aggiornando le procedure di accesso ai medesimi locali aziendali;
  • mettere a disposizione dei dipendenti dispositivi di protezione individuale, quali maschere protettive e guanti monouso per le ipotesi in cui dovesse rivelarsi necessario il loro utilizzo, come nel caso in cui il lavoro imponga di lavorare a una distanza interpersonale minore di un metro e non siano possibili altre soluzioni organizzative (v. infra);
  • valuti con il Medico Competente ogni intervento necessario e/o opportuna modifica alle procedure per adempiere agli obblighi di sorveglianza sanitaria, che deve proseguire nel rispetto delle misure igieniche contenute nelle indicazioni del Ministero della Salute (c.d. decalogo) e privilegiando le visite preventive, le visite a richiesta e le visite da rientro da malattia;
  • sospenda o annulli tutti gli eventi interni e ogni attività di formazione in modalità “in aula”, anche obbligatoria, ferma restando la possibilità di procedere alla formazione a

Il datore di lavoro è, altresì, tenuto a valutare i dipendenti con particolari condizioni di salute (come, per esempio, le lavoratrici in gravidanza) e ad adottare misure specifiche idonee a tutelarne la salute sul lavoro, come lo svolgimento della prestazione lavorativa da remoto. Il Protocollo del 14 marzo 2020 prevede espressamente che il Medico Competente deve segnalare all’azienda situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti, fermo restando l’obbligo dell’azienda di provvedere alla loro tutela nel rispetto della privacy (v. infra).

Se il datore di lavoro si accorge della presenza di un soggetto che risponde alla definizione di “caso sospetto”, ha il dovere di procedere al suo immediato isolamento, in base alle disposizioni dell’autorità sanitaria, nonché a quello degli altri soggetti presenti nei locali aziendali, evitando contatti ravvicinati con la persona che potrebbe avere contratto il virus e prestando attenzione alle superfici con cui è venuto a contatto.

Bisogna, inoltre, fare eliminare direttamente dal soggetto interessato i fazzoletti di carta utilizzati, gettandoli in un sacchetto impermeabile che sarà smaltito con i materiali prodotti durante le attività sanitarie del personale di soccorso. L’azienda dovrà, inoltre, contattare immediatamente i servizi sanitari ai numeri di emergenza forniti dalla Regione o dal Ministero della Salute.

In caso di accertata positività di un lavoratore al COVID-19, si dovrà procedere a sanificazione e pulizia straordinaria degli ambienti di lavoro, attenendosi, altresì, a ogni altra prescrizione che dovesse essere imposta dall’Autorità competente.

2.       Le misure da adottare per la gestione del personale dipendente

 Considerata la elevata contagiosità del virus SARS-CoV-2, la normativa emergenziale volta a contrastare e contenere la pandemia (tra cui, in particolare, il DPCM 8 marzo 2020, il DPCM 9 marzo 2020 e il DPMC 11 marzo 2020), ha dapprima vietato ogni spostamento in entrata, in uscita e all’interno del territorio nazionale – se non motivati da comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o ragioni di salute – e successivamente disposto, con alcune eccezioni, la sospensione delle attività commerciali e dei servizi di ristorazione e di cura alla persona, dettando delle raccomandazioni specifiche per gli altri settori, non oggetto di sospensione, ivi inclusi i servizi bancari, finanziari, assicurativi nonché le attività produttive e le attività professionali.

Previsioni normative ad hoc sono state, inoltre, dettate con riguardo alle pubbliche amministrazioni e ai servizi di trasporto pubblico locale, automobilistici interregionali e di trasporto ferroviario, aereo e marittimo, con attribuzione al Ministero delle infrastrutture e dei trasposti, di concerto con il Ministero della Salute, nonché alle Regioni, il potere di limitare, per quanto di competenza, tali servizi, assicurando comunque i servizi minimi essenziali.

Il Protocollo del 14 marzo 2020 contiene, poi, le linee guida condivise tra le Parti Sociali riguardanti le misure organizzative straordinarie da adottare al fine di contrastare e contenere la diffusione del virus.

2.1.   La sospensione dell’attività

 Il DPCM 11 marzo 2020 ha imposto la sospensione delle attività commerciali e dei servizi di ristorazione e di cura alla persona, fatta eccezione per le attività individuate negli appositi allegati (e.g. di vendita di generi alimentari e di prima necessità, farmacie, etc.), e fermo restando, per tutte le attività non sospese, l’obbligo di garantire la distanza di sicurezza interpersonale di un metro.

Si segnala che sono espressamente escluse dall’obbligo di sospensione le mense e i catering continuativo su base contrattuale che garantiscano tale distanza di sicurezza. Nel rispetto di tale prescrizione e dei protocolli sanitari in atto presso le imprese, le mense aziendali restano, dunque, attive in favore dei dipendenti. La sospensione dei servizi di cura alla persona è, invece, generalizzata (fatta eccezione, come detto, per le attività indicate nell’apposito allegato, e.g. lavanderie e tintorie) e riguarda, pertanto, anche quelle eventuale svolte nei locali aziendali in favore del personale cui sia stato garantito tale benefit.

Il medesimo DPCM 11 marzo 2020 ha, inoltre, raccomandato alle imprese la sospensione delle attività dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione.

Stante il tenore letterale delle disposizioni in commento, pare trattarsi di due forme di sospensione differenti: la prima, attuata per decisione dell’autorità; la seconda, disposta soltanto a seguito di una valutazione rimessa al datore di lavoro e su iniziativa di quest’ultimo. Tale differenza appare senz’altro rilevante, tenuto conto delle implicazioni che la sospensione può portare con sé, primo fra tutte l’eventuale venire meno dell’obbligo datoriale di corrispondere la retribuzione.

A questo proposito, sembra corretto affermare che la sospensione obbligatoria dell’attività non sia imputabile al datore di lavoro e che possa, dunque, legittimare quest’ultimo a non corrispondere il trattamento retributivo riferito al periodo di sospensione. Di contro, nel caso della sospensione dell’attività dei reparti aziendali attuata dalle imprese a seguito di una valutazione di non indispensabilità ai fini della produzione, la non imputabilità della stessa potrebbe essere messa in discussione (vuoi in quanto oggetto – quantomeno all’apparenza – di una mera “raccomandazione”, vuoi perché rimessa a una valutazione datoriale), anche se non può escludersi a priori che, a determinate condizioni, pure l’attività produttiva debba essere soppressa in esecuzione dell’obbligo generale incombente sul datore di lavoro di tutelare l’integrità psico-fisica dei propri dipendenti. Nella seconda forma di sospensione, dunque, il venire meno del diritto dei lavoratori sospesi alla retribuzione non appare scontato.

In ogni caso, in entrambe le ipotesi di sospensione, soccorrono gli ammortizzatori sociali (v. infra).

Nel Protocollo del 14 marzo 2020, le Parti Sociali hanno ribadito che la prosecuzione delle attività produttive può avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino ai lavoratori adeguati livelli di protezione, invitando le imprese a disporre la chiusura di tutti i reparti diversi dalla produzione o, comunque, di quelli dei quali è possibile il funzionamento mediante il ricorso allo smart working (v. infra).

  • Il lavoro agile o smart working

 Anche a seguito dell’emanazione del DPCM 11 marzo 2020 e alla sottoscrizione del Protocollo, la misura cautelare primaria è rappresentata, per le attività e i servizi non oggetto di sospensione e nella misura in cui sia praticabile, dal cd. lavoro agile o smart working, il quale è ammesso, anche in assenza di accordi individuali, per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 (e, dunque, per il momento, sino al 31 luglio 2020) e rimane attivabile, con il consenso del lavoratore, anche successivamente.

Per tutte le attività non soppresse che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza, viene, infatti, raccomandato alle imprese il massimo utilizzo del lavoro agile.

Per agevolarne il ricorso, oltre ad avere temporaneamente attribuito al datore di lavoro il diritto di disporlo unilateralmente, si è prevista la possibilità di adempiere agli obblighi di informativa scritta, circa i rischi generali e i rischi specifici connessi a tale particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro, per via telematica, anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’INAIL.

Peraltro, l’attività lavorativa da remoto è l’unica modalità consentita nel caso di dipendenti che abbiano avuto contatti stretti e continuativi con casi confermati di malattia infettiva diffusiva COVID-19 ovvero di lavoratori che, nei precedenti quattordici giorni, abbiano fatto ingresso in Italia dopo avere soggiornato in Cina, nelle aree interessate dall’epidemia, ovvero siano transitati nei territori italiani delle previgenti “zone rosse”.

2.3.   Ferie e congedi

 La misura precauzionale individuata dalla normativa emergenziale quale prima alternativa allo smart working è rappresentata dalla fruizione di ferie e congedi (e degli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva).

Tenuto conto del contesto emergenziale in atto, si ritiene che l’azienda possa disporre la fruizione delle ferie e dei congedi in maniera forzosa, e ciò nonostante la previsione in commento sia oggetto di una “raccomandazione” a “incentivarne” l’attuazione. Ove possibile, il datore di lavoro dovrà però prediligere la misura dello smart working.

Nel Protocollo del 14 marzo 2020, le Parti Sociali hanno indicato come prioritario il ricorso agli ammortizzatori sociali disponibili nel rispetto degli istituti contrattuali (i.e. par, rol, banca ore) finalizzati a consentire l’astensione dal lavoro senza perdita della retribuzione, limitando l’utilizzo dei periodi di ferie arretrati e non ancora fruiti ai casi in cui ciò non risulti sufficienti.

Inoltre, sono stati annunciati come imminenti i congedi parentali straordinari volti a consentire ai dipendenti con figli minori di dodici anni (non applicandosi tale limite di età per i figli con disabilità) di fruire sino, inizialmente, a dodici giorni di congedo ulteriori rispetto a quelli di cui ai congedi parentali ordinari, percependo almeno il 30% della paga base.

2.4.   Protocolli anti-contagioni e norme igienico-sanitarie presso le sedi

 Qualora si tratti di attività lavorative non oggetto di sospensione che richiedano la presenza fisica del dipendente sul luogo di lavoro, il datore di lavoro dovrà approntare tutti gli strumenti indicati dagli esperti in grado di migliorare la salubrità dell’ambiente di lavoro, anche alla luce di quanto contenuto nel Protocollo del 14 marzo 2020.

Si tratta, quindi, di procedere alla installazione di erogatori di gel antibatterici, alla sanificazione delle superfici e degli ambienti di lavoro, alla dotazione di mascherine protettive e guanti da potere usare in caso di necessità, nel delle indicazioni delle autorità competenti (v. supra).

Con particolare riferimento agli strumenti di protezione individuale, il DPCM 11 marzo 2020 e il Protocollo del 14 marzo 2020 ne ha raccomandato l’adozione tutte le volte in cui non sia possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro, favorendo, in caso di difficoltà di approvvigionamento, la preparazione da parte dell’azienda del liquido detergente secondo le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’uso di mascherine la cui tipologia corrisponda alle indicazioni dell’autorità sanitaria. Disposizioni specifiche si applicano agli addetti alle attività di trasporto, che devono ricevere in dotazione mascherina e guanti monouso, mentre la relativa documentazione di trasporto deve essere trasmessa per via telematica e, qualora sia necessario che scendano dall’automezzo, devono rispettare la distanza di sicurezza di un metro.

Per le attività produttive, il DPCM 11 marzo 2020 ha, inoltre, raccomandato di limitare al massimo gli spostamenti all’interno dei siti e di contingentare l’accesso agli spazi comuni. Queste disposizioni perseguono l’evidente obiettivo di limitare al massimo la possibilità di contagio all’interno degli stabilimenti, sia tra il personale impiegato nei singoli reparti, sia tra il personale in forza nei diversi reparti della medesima unità produttiva. Possibili misure attuative potrebbero essere rappresentate dalla riorganizzazione dei turni di lavoro e delle pause, con conseguente riduzione della popolazione contemporaneamente presente negli ambienti condivisi.

Nella stessa direzione, il Protocollo del 14 marzo 2020 ha previsto che l’accesso agli spazi comuni (comprese le mense aziendali, le aree fumatori e gli spogliatoi) deve essere contingentato, richiedendo la ventilazione continua dei locali, la previsione di un tempo ridotto di sosta all’interno di tali spazi e il mantenimento della distanza di sicurezza di un metro tra le persone che li occupano. Le imprese sono state, inoltre, sollecitate a procedere alla rimodulazione dei livelli produttivi, ad assicurare un piano di turnazione dei dipendenti dedicati alla produzione, a favorire orari di ingresso e di uscita scaglionati (dedicando, ove possibile una porta di entrata e una di uscita dai locali condivisi), a limitare al minimo indispensabile gli spostamenti all’interno del sito aziendale e a evitare, per quanto possibile, le riunioni che richiedano la presenza fisica dei lavoratori.

A seguito dell’entrata in vigore del DPCM 9 marzo 2020, nei loro spostamenti da e verso il luogo di lavoro, i lavoratori sono ammessi a comprovare il motivo lavorativo di tali spostamenti con qualsiasi mezzo, ivi compresa una autodichiarazione ai sensi degli artt. 46 e 47 D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445, anche sul modello reso disponibile sul sito istituzionale del Ministero dell’Interno.2

 In considerazione della limitazioni agli spostamenti non solo in entrata e in uscita, ma altresì all’interno del territorio nazionale disposte dal DPCM 9 marzo 2020, si ritiene che le trasferte di lavoro debbano essere sospese, ad esclusione di quelle motivate da comprovate esigenze che ne attestino la necessità Sul punto, nel Protocollo del 14 marzo 2020 le Parti Sociali hanno coerentemente esplicitato che tutte le trasferte e i viaggi di lavoro, anche se già concordati o organizzati, devono essere sospesi o annullati.

In aggiunta, in conformità con le indicazioni dettate dalla circolare del Ministero della Salute il 3 febbraio 2020, il datore di lavoro deve invitare i propri dipendenti a ricorrere alle comuni misure preventive della diffusione delle malattie trasmesse per via respiratoria, ossia i sistemi di prevenzione più comuni, quali lavarsi frequentemente e accuratamente le mani, fare attenzione all’igiene delle superfici, evitare contatti stretti con persone che presentano sintomi.

Laddove il datore di lavoro abbia dato puntuale esecuzione alla normativa emergenziale e, in particolare, abbia adottato ogni cautela igienico-sanitaria a tutela dei propri dipendenti, ivi incluse quelle di cui al Protocollo del 14 marzo 2020, l’eventuale rifiuto del lavoratore di prestare l’attività lavorativa non sarebbe giustificato. Il lavoratore si esporrebbe, dunque, a responsabilità disciplinare, essendo il proprio rifiuto legittimo soltanto nel caso in cui l’adempimento della prestazione lavorativa metta in pericolo la sua integrità psico-fisica.

3.       Gli ammortizzatori sociali

 Si ricorda che, in attesa che vengano varate misure specifiche a sostegno delle aziende in crisi a causa dell’epidemia di COVID-19, vi è la possibilità, secondo le regole generali, di fare ricorso all’ammortizzatore sociale della Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria (o CIGO), che è prevista proprio per fare fronte a sospensioni o riduzioni dell’attività dovute a eventi transitori e non imputabili all’impresa e ai dipendenti, quale appunto l’epidemia in parola, alla Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (o CIGS), sussistendone i presupposti di legge, nonché al Fondo d’Integrazione Salariale (o FIS) per settori non coperti dalla normativa in materia d’integrazione salariale.

Il D.l. 2 marzo 2020 n. 9 ha introdotto una serie di misure speciali a sostegno delle aziende ubicate nei Comuni facenti parte delle ormai ex “zone rosse” e, più in generale, di quelle ubicate nelle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, e dei loro dipendenti lì residenti o domiciliati.

Il Protocollo del 14 marzo 2020 ha sollecitato il ricorso agli ammortizzatori sociali, anche in deroga: (i) raccomandando l’utilizzo in via prioritaria degli ammortizzatori sociali disponibili nel rispetto degli istituti contrattuali generalmente finalizzati a consentire l’astensione dal lavoro senza perdita della retribuzione; (ii) precisando, in riferimento allo smart working, che in caso di ricorso alla cassa integrazione l’azienda debba valutare la possibilità di assicurare che gli stessi riguardino l’intera compagine aziendale, se del caso anche con opportune rotazioni; e (iii) suggerendo il ricorso a tali misure per organizzare gli interventi particolari/periodici di pulizia nei luoghi di lavoro.

3.1.   Le (orma ex) “zone rosse”

 In ragione dell’emergenza epidemiologica in atto, l’art. 13 D.L. 9/2020 ha previsto la possibilità per i datori di lavoro delle zone in commento di presentare domanda di cassa integrazione ordinaria e di assegno ordinario, con modalità semplificate, con l’apposita causale “COVID-19 D.l. n. 9/2020”, per un massimo di tre mesi.

L’assegno ordinario è concesso anche ai datori di lavoro iscritti al FIS che occupano mediamente più di 5 dipendenti.

Inoltre, a mente dell’art. 15 D.L. 9/2020, le aziende per le quali non trovano applicazione le tutele in materia di sospensione e riduzione di orario comuni (e, dunque, quelle previste dal noto D.lgs. 148/2015) possono presentare domanda di cassa integrazione salariale in deroga, per la durata della sospensione del rapporto di lavoro e, comunque, per un periodo massimo di tre mesi a decorrere dal 23 febbraio 2020.

Peraltro, il 6 marzo 2020 Assolavoro e le organizzazioni sindacali del settore della somministrazione di lavoro hanno sottoscritto un accordo volto a introdurre una procedura semplificata per l’accesso al trattamento di integrazione salariale per i lavoratori in somministrazione nonché a consentire l’attivazione di un trattamento in deroga nel caso in cui l’utilizzatore non attivi alcun ammortizzatore sociale.

3.2.   Le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna

 Al di fuori dei casi di cassa integrazione salariale in deroga prevista per le ex “zone rosse”, i datori di lavoro del settore privato, compreso quello agricolo, che non abbiamo accesso agli ammortizzatori sociali comuni, possono chiedere il riconoscimento, limitatamente ai casi di accertato pregiudizio, in conseguenza delle ordinanze emanate dal Ministero della salute, d’intesa con le Regioni nell’ambito dei provvedimenti assunti con il D.l. 6/2020, e previo accordo con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, del trattamento di cassa integrazione salariale in deroga, per la durata della sospensione del rapporto di lavoro e, comunque, per un periodo massimo di un mese.

A questo proposito, si segnala che il 10 marzo 2020 Regione Veneto e Regione Emilia- Romagna hanno sottoscritto con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello regionale degli accordi volti a consentire l’applicazione del trattamento in deroga sopra indicato. Regione Lombardia e le parti Sociali hanno sottoscritto un accordo quadro riguardante i criteri e le modalità operative per il ricorso alle tipologie di intervento previste.

Si segnala, inoltre, che l’ambito di applicazione dell’accordo del 6 marzo 2020 tra Assolavoro e le organizzazioni sindacali del settore della somministrazione di lavoro (v. supra) comprende anche le aree c.d. “gialle” (ed è stato poi esteso all’intero territorio nazionale, v. infra).

3.3.   Il resto del Paese

 In difetto di un apposito provvedimento normativo, che è atteso ad horas, non paiono applicabili alla generalità dei casi le misure in materia di lavoro privato e pubblico di cui agli artt. 13-17 D.L. 9/2020, compresa la Cassa Integrazione Salariale in deroga, trattandosi di misure lì specificamente destinate alle aziende ubicate in particolari aree geografiche o ai loro dipendenti lì residenti.

Si segnala, però, che in data 10 marzo 2020 Assolavoro e le organizzazioni sindacali del settore della somministrazione di lavoro hanno esteso all’intero territorio nazionale le procedure di trattamento di integrazione salariale semplificate e di trattamento di integrazione salariale in deroga di cui al precedente accordo del 6 marzo 2020 (v. supra).

  1. Indicazioni in materia di privacy del Garante

 Il Garante ha recentemente emesso un provvedimento in relazione alla raccolta di dati, anche relativi alla salute, in concomitanza con l’attuale emergenza sanitaria.

In particolare, la pronuncia del Garante ha toccato due aspetti:

  • la possibilità, per le aziende, di raccogliere, all’atto della registrazione di visitatori e utenti, informazioni circa la presenza di sintomi da COVID-19 e notizie sugli ultimi spostamenti, come misura di prevenzione dal contagio;
  • la possibilità, per i datori di lavoro, di acquisire una “autodichiarazione” da parte dei dipendenti in ordine all’assenza di sintomi influenzali, e vicende relative alla sfera privata.

  • Visitatori e utenti

 Quanto al tema degli accessi di visitatori, utenti e fornitori, i titolari del trattamento, cioè le aziende, sono invitati ad attenersi scrupolosamente alle indicazioni fornite dal Ministero della salute e dalle istituzioni competenti per la prevenzione della diffusione del COVID-19, senza effettuare iniziative autonome che prevedano la raccolta di dati anche sulla salute di utenti e lavoratori che non siano normativamente previste o disposte dagli organi competenti.

In particolar modo, le aziende devono limitare al massimo l’accesso di soggetti esterni (visitatori, utenti, fornitori, ecc.) e comunicare espressamente (mediante affissioni agli ingressi e specifiche comunicazioni ufficiali ai fornitori, consulenti e/o collaboratori) la necessità di:

  • limitare, per frequenza delle visite e quantità di soggetti, gli accessi alle sedi a quelli strettamente indispensabili;
  • quanto ai fornitori e collaboratori, comunicare tempestivamente l’eventuale insorgere di contagi tra il personale dipendente, indipendentemente dall’effettivo accesso dello stesso alla sede, per poter porre in essere eventuali misure di profilassi ovvero interessare le Autorità sanitarie.

  • Dipendenti

 I datori di lavoro dovranno astenersi dal raccogliere, a priori e in modo sistematico e generalizzato, informazioni sulla presenza di eventuali sintomi influenzali del lavoratore e dei suoi contatti più stretti o comunque rientranti nella sfera extra lavorativa.

Resta fermo l’obbligo del lavoratore di segnalare al datore di lavoro qualsiasi situazione di pericolo per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro. Al riguardo, il Ministro per la  pubblica  amministrazione  ha  recentemente  fornito  indicazioni  operative  circa l’obbligo per il dipendente pubblico e per chi opera a vario titolo presso la P.A. di segnalare all’amministrazione di provenire da un’area a rischio. In tale quadro il datore di lavoro può invitare i propri dipendenti a fare, ove necessario, tali comunicazioni agevolando le modalità di inoltro delle stesse, anche predisponendo canali dedicati. Nel caso in cui, nel corso dell’attività lavorativa, il dipendente che svolge mansioni a contatto con il pubblico (es. URP, prestazioni allo sportello) venga in relazione con un caso sospetto di COVID-19, lo stesso, anche tramite il datore di lavoro, provvederà a comunicare la circostanza ai servizi sanitari competenti e ad attenersi alle indicazioni di prevenzione fornite dagli operatori sanitari interpellati.

Permane per il datore di lavoro, nel quadro degli adempimenti connessi alla sorveglianza sanitaria sui lavoratori per il tramite del medico competente, la possibilità di sottoporre a una visita straordinaria i lavoratori più esposti.

  1. I risvolti privacy del Protocollo del 14 marzo 202
  • Informazione

 Come anticipato, l’azienda dovrà informare tutti i lavoratori e chiunque entri in azienda circa le disposizioni delle autorità, consegnando e/o affiggendo all’ingresso e nei luoghi maggiormente visibili dei locali aziendali, appositi depliants informativi. Tali informazioni riguarderanno, in particolare, l’obbligo di rimanere al proprio domicilio in presenza di febbre (oltre 37,5° C) o altri sintomi influenzali o, comunque, di comunicare una variazione delle proprie condizioni di salute che rendano pericolosa la permanenza in azienda; l’impegno a rispettare tutte le disposizioni delle autorità e del datore di lavoro nell’accesso l’azienda (igiene, distanza di sicurezza etc.); la preclusione dell’accesso a chi, negli ultimi 14 giorni, abbia avuto contatti con soggetti risultati positivi al COVID- 19 o provenga da zone a rischio secondo le indicazioni dell’OMS.

Qualora si richieda il rilascio di una dichiarazione attestante la non provenienza dalle zone a rischio epidemiologico e l’assenza di contatti, negli ultimi 14 giorni, con soggetti risultati positivi al COVID-19, l’indicazione è di raccogliere solo i dati necessari, adeguati e pertinenti rispetto alla prevenzione del contagio da COVID-19, evitando, per esempio, di richiedere informazioni aggiuntive in merito alla persona risultata positiva o ai luoghi in concreto frequentati.

  • Ingressi in azienda

 Prima di entrare in azienda, i dipendenti (e i visitatori, ove il loro ingresso fosse necessario) potranno essere sottoposti al controllo della temperatura corporea. Se tale temperatura risulterà superiore ai 37,5° C, all’interessato non sarà consentito l’accesso e questi dovrà accettare di essere messo in isolamento temporaneo in attesa di ricevere le indicazioni del medico curante.

Trattandosi di un trattamento di dati, oltretutto relativi alla salute, dovranno essere adottate tutte le accortezze richieste dalla normativa privacy: dall’informativa, che potrà essere fornita anche oralmente, all’individuazione dei soggetti preposti al trattamento, al divieto di diffusione o comunicazione a terzi al di fuori delle specifiche previsioni normative (es. in caso di richiesta da parte dell’autorità sanitaria per la ricostruzione della filiera degli eventuali “contatti stretti” di un lavoratore risultato positivo al COVID-19).

Sarà preferibile evitare di registrare i dati rilevati; in difetto occorrerà prevedere misure di sicurezza adeguate a proteggerli.

  1. La sicurezza dei dati

 La situazione di emergenza rappresenta una grande sfida alla resilienza delle aziende non solo sotto il profilo della loro capacità di cogliere le opportunità dell’evoluzione del lavoro, ma anche sotto quello dell’adeguatezza rispetto al tema della sicurezza dei dati.

Attraverso i propri dispositivi, infatti, lo smart worker entra continuamente in contatto con i database aziendali e tratta una mole non indifferente di informazioni, a volte sensibili. L’accesso, inoltre, non avviene all’interno delle mura aziendali, ma dalla sua abitazione o – peggio – da altri luoghi esterni, amplificando le probabilità che i dati possano essere visualizzati o prelevati da altri (si pensi, a mero titolo di esempio, alle criticità sollevate dalle rete wi-fi libere che si trovano in molti locali che idealmente si prestano a fungere da luoghi di coworking).

L’azienda, in qualità di titolare o responsabile del trattamento, è tenuta a garantire la sicurezza costante dei dati e a mettere in atto le misure tecniche e organizzative idonee a garantire un livello di sicurezza adeguato a norma degli articoli 24 e 32 del GDPR, la cui violazione può esporla a sanzioni pecuniarie fino a 10 milioni di euro o fino al 2% del fatturato totale annuo mondiale.

In che modo?

Innanzitutto partendo dalla protezione dei dispositivi attraverso l’installazione di adeguati software antivirus ed efficienti sistemi di backup nonché la messa a punto di strategie di Mobile Device Management (MDM) che prendano in considerazione tecnologie di password authentication, data encryption, remote wipe/lock (per formattare da remoto i dispositivi e cancellare tutti i dati in caso di furto o smarrimento).

Inoltre, dotandosi di adeguate policy e procedure, che non solo vengano portate a conoscenza degli utenti ma con essi condivise attraverso una mirata attività di formazione, che potrà essere svolta anche con l’aiuto del DPO aziendale, se presente, affrontando, nello specifico, proprio quei temi che possono presentare particolari aderenze con lo smart working, come ad esempio i numerosi comportamenti quotidiani che possono portare a potenziali rischi quali lo smarrimento dei device o la navigazione tramite reti non sicure.

Avere fatto una buona formazione in azienda risulterà tanto più fondamentale oggi in considerazione del fatto che, stando agli esperti, in concomitanza con l’attuale crisi sanitaria l’Italia risulta nel mirino dei cyber-criminali, intenzionati ad approfittarsi del minore stato di allerta degli utenti lanciando campagne volte a infettare i computer delle per sottrarre dati o estorcere danaro. Ciascuna campagna comprende più attacchi destinati a più soggetti, comprendendo un numero elevato di aziende e bersagli all’interno di queste.

Spesso gli attacchi sfruttano tecniche di ingegneria sociale per convincere le vittime ad aprire gli allegati o i link, magari sul COVID-19, i quali sono spesso documenti contenenti macro che scaricano e installano i malware.

La migliore tecnica per scongiurare questi attacchi è dare l’indicazione di non aprire mai e in nessun caso allegati da fonti che non siano note e conosciute e comunicare la ricezione al personale IT aziendale. Anche email all’apparenza molto ben fatte e scritte in italiano perfetto possono celare minacce alla sicurezza aziendale. Bisogna, dunque, sempre valutare attentamente cosa si va ad aprire controllando l’oggetto, il mittente, l’indirizzo email di provenienza e così via. Sono controlli semplici che portano via poco tempo, ma che possono già aiutare a scremare le email dannose; in ogni caso è bene sospettare sempre e chiedere sempre aiuto al personale competente.

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Il presente documento ha finalità meramente divulgative. Esso non costituisce un parere legale in relazione alle materie in esso descritte, né può essere considerato quale analisi giuridica sostitutiva di una specifica consulenza legale in relazione alle stesse materie o quale riferimento per contratti o impegni di qualsivoglia natura.

 

 

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