La società benefit: una possibile risposta alle sfide di sostenibilità di oggi
A cura di Avv. Caterina Ghelli di Rorà
La pandemia dovuta al Covid-19 ha rianimato il dibattito sulle sfide ambientali, sociali ed economiche dei nostri tempi e sul tema della corporate social responsability, cioè della responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società e sugli obiettivi di sostenibilità richiesti alle aziende, racchiusi nell’acronimo ESG (environmental, social and governance). In questo contesto si sta assistendo ad un incremento del numero di società che aderiscono al modello di società benefit.
La figura della società benefit è stata introdotta in Italia nel 2016, dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208 (art.1, commi 376-384), ma solo negli ultimi anni si sta assistendo ad un aumento del numero delle imprese aderenti. Di recente hanno sposato questo modello note società appartenenti ai più disparati settori commerciali (per citarne alcune, Danone S.p.a., Illycaffè S.p.a., Yves Rocher Italia S.r.l., Eni Gas e Luce S.p.a. e Eolo S.p.a. sui propri siti internet comunicano di essere diventate società benefit).
Si tratta di un modello imprenditoriale che, pur lasciando inalterata la struttura societaria tradizionale (si innesta infatti sulle figure societarie già esistenti, potendo acquisire detta qualifica ciascuna delle società di cui al libro V, titoli V e VI, del codice civile) e il perseguimento dello scopo di lucro, include tra le finalità dell’impresa l’obiettivo di bilanciare l’interesse della società con quello dei terzi coinvolti e generare un valore per la comunità perseguendo una o più “finalità di beneficio comune”.
La legge lascia alle singole società la libertà di provvedere alla specifica individuazione delle finalità di beneficio comune, limitandosi a definirle come “uno o più effetti positivi, o la riduzione degli effetti negativi” su una o più delle seguenti categorie: “persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni, altri portatori di interesse”, ovvero “il soggetto o i gruppi di soggetti coinvolti, direttamente o indirettamente, dall’attività della società (…), quali lavoratori, clienti, fornitori, finanziatori, creditori, pubblica amministrazione e società civile” (L. cit., art. 1, commi 376 e 378).
Le finalità di beneficio comune devono essere specificatamente inserite all’interno dell’oggetto sociale, a fianco delle altre attività oggetto di impresa. Così facendo il perseguimento dello scopo benefico non si riduce ad una mera affermazione di principio, ma assurge ad oggetto giuridico dell’attività al pari del perseguimento dello scopo lucrativo. L’inserimento della finalità benefica nell’oggetto sociale consente anche di responsabilizzare gli amministratori, tenuti per legge a porre in essere le operazioni necessarie per il raggiungimento dell’oggetto sociale (ai sensi dell’art. 2380 bis c.c.).
In aggiunta a quanto precede, la legge richiede i seguenti ulteriori adempimenti: (i) individuare uno o più soggetti responsabili a cui sono affidati funzioni e compiti volti al perseguimento delle finalità di beneficio comune; (ii) allegare al bilancio una relazione annuale che descriva gli obiettivi specifici, le modalità e le azioni attuate dagli amministratori per il perseguimento delle finalità di beneficio comune e delle eventuali circostanze che lo hanno impedito o rallentato, la valutazione dell’impatto generato e la descrizione dei nuovi obiettivi che la società intende perseguire nell’esercizio successivo; (iii) pubblicare la relazione annuale sul sito internet della società, se la società ha un sito. La società aderente può inoltre (ma non è obbligatorio) inserire accanto alla denominazione sociale le parole “Società benefit” o “SB”.
La società benefit è soggetta alla vigilanza dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, potendo sussistere gli estremi della pratica commerciale scorretta e pubblicità ingannevole nel caso in cui non persegua realmente lo scopo benefico dichiarato.
Sotto il profilo fiscale il D.L. 19 maggio 2020 n. 34 ha riconosciuto un contributo sotto forma di credito di imposta nella misura del 50% dei costi di costituzione o trasformazione in società benefit, misura la cui applicabilità era originariamente prevista sino al 30 dicembre 2020 e che è stata estesa fino al 31 dicembre 2021 dall’art. 19-bis D.L. 73/2021, Decreto Sostegni-bis.
A livello di marketing l’adozione del modello di società benefit comporta un importante ritorno reputazionale e di immagine, essendo in grado di attrarre clienti, dipendenti e investitori: l’introduzione dello scopo benefico nell’oggetto sociale, unita alla responsabilizzazione degli amministratori davanti ai soci e della società di fronte all’Autorità garante, attesta difatti agli occhi del pubblico degli utenti la serietà dell’impegno assunto dall’azienda.
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