Controlli difensivi tecnologici del datore di lavoro sul PC aziendale in uso al dipendente
A cura di avv. Enzo Pisa e dott.ssa Annachiara Zandonà
Con sentenza dello scorso 22 settembre, n. 25732, la Cassazione è tornata ad occuparsi dei c.d. “controlli difensivi” del datore di lavoro e dell’art. 4 della L. 300/1970 (rubricato “Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo”), come modificato dal D.Lgs. 151/2015, in una causa avente ad oggetto l’impugnazione d’un licenziamento per giusta causa di una lavoratrice, alla quale era stato contestato, inter alia, “a) l’impiego di mezzi informatici messi a disposizione dal datore di lavoro per l’esecuzione della prestazione lavorativa a soli fini privati ed in violazione delle disposizioni impartite in ordine all’utilizzo degli stessi […]; b) la sostanziale interruzione in tutto il periodo di riferimento della prestazione lavorativa, visti tempi e quantità di navigazione per fini privati; c) l’aver causato con il suo operato gravi danni al patrimonio aziendale sia per la perdita dei dati sia per l’impossibilità degli uffici della Fondazione di accedere alle cartelle elettroniche danneggiate per tutto il tempo necessario al ripristino del sistema”.
In particolare, la Suprema Corte, dopo aver operato un approfondito excursus storico sulla categoria di matrice giurisprudenziale dei c.d. “controlli difensivi”, ante modifica dell’art. 4 St. lav., si è posta la questione (ad oggi rimasta irrisolta a livello di giurisprudenza di merito e dottrina) della loro “sopravvivenza” nel regime normativo fissato dalla sua nuova formulazione, distinguendo “tra i controlli a difesa del patrimonio aziendale che riguardano tutti i dipendenti (o gruppi di dipendenti) nello svolgimento della loro prestazione di lavoro che li pone a contatto con tale patrimonio, controlli che dovranno necessariamente essere realizzati nel rispetto delle previsioni dell’art. novellato in tutti i suoi aspetti, e <controlli difensivi> in senso stretto, diretti ad accertare specificatamente condotte illecite ascrivibili – in base a concreti indizi – a singoli dipendenti, anche se questo si verifica durante la prestazione di lavoro”.
Operata tale distinzione tra i “controlli difensivi” in senso lato e quelli in senso stretto, la S.C. ritiene che solo “questi ultimi controlli, anche se effettuati con strumenti tecnologici, non avendo ad oggetto la normale attività del lavoratore, si situino, anche oggi, all’esterno del perimetro applicativo dell’art. 4”, affermando il seguente principio di diritto: ““sono consentiti i controlli anche tecnologici posti in essere dal datore di lavoro finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all’insorgere del sospetto. Non ricorrendo le condizioni suddette la verifica della utilizzabilità a fini disciplinari dei dati raccolti dal datore di lavoro andrà condotta alla stregua dell’art. 4 L. n. 300/1970, in particolare dei suoi commi 2 e 3”.
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