Compatibilità dell’attività di lavoro subordinato con la carica di amministratore nelle società di capitali
Con sentenza del 27.01.2022, n. 2487, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla possibile coesistenza di un rapporto di lavoro subordinato e di un rapporto gestorio tra una società di capitali ed un soggetto (al contempo, dipendente e amministratore).
Il tema, invero, è stato affrontato non solo dalla giurisprudenza di legittimità, ma anche in sede amministrativa, in particolare dall’I.N.P.S., con approdi interpretativi talora fra loro divergenti.
Difatti, l’Istituto previdenziale, con risalente circolare n. 179 del 08.08.1989, aveva, inizialmente, negato la compatibilità fra le suddette posizioni, per poi giungere, in linea con alcune pronunce favorevoli della Suprema Corte, a risultati ermeneutici di maggiore apertura (messaggio n. 12441 del 08.06.2011).
Tornando alla succitata recente sentenza della S.C., essa ha riformato l’impugnata decisione della Corte d’Appello di Firenze, che aveva escluso a priori la possibilità per due soci e membri del consiglio di amministrazione di una società d’instaurare un rapporto di lavoro subordinato con la società stessa.
Il giudice di legittimità, negando tale assunto, ha preliminarmente ribadito che, in linea di diritto, l’incompatibilità della condizione di lavoratore subordinato opera in via assoluta solo con riferimento alla posizione di amministratore unico della società datrice di lavoro; in tal caso, l’impossibilità per il lavoratore/amministratore d’essere sottoposto ad altrui potere direttivo, di controllo e disciplinare, impedisce che possa sussistere l’indefettibile requisito della subordinazione.
Operando una sintesi dei diversi principi già stabiliti dalla giurisprudenza più risalente, la Cassazione ha affermato che la cumulabilità della carica d’amministratore con l’attività di lavoratore subordinato può dirsi legittima quando vengano accertati “l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale e il vincolo di subordinazione, ossia l’assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società; e questa circostanza ricorre, qualora sia individuabile la formazione di una volontà imprenditoriale distinta, tale da determinare la soggezione del dipendente-amministratore ad un potere disciplinare e direttivo esterno, sì che la qualifica di amministratore costituisca uno ‘schermo’ per coprire un’attività costituente, in realtà, un normale lavoro subordinato: così risultandone provata la soggezione al potere direttivo e disciplinare di altri organi della società e l’assenza di autonomi poteri decisionali”.
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