Centro unico di imputazione dei rapporti di lavoro: rilevanza delle sedi estere alla luce della giurisprudenza
Avv. Alvise Gastone Bragadin e Avv. Rachele Spadafora.
È ormai principio consolidato quello secondo cui Società dello stesso gruppo formalmente distinte, al ricorrere di determinate condizioni, debbano essere considerate un unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro.
In particolare, tale ipotesi si configura qualora sussista un collegamento economico-funzionale talmente stretto da determinare, ad esempio, l’unicità degli interessi e della struttura organizzativa e produttiva, il coordinamento tecnico e amministrativo/finanziario e l’utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese
La tendenza delle società multinazionali a crescere per acquisizioni di aziende minori, che vengono integrate nell’organizzazione internazionale perdendo, di fatto, la loro identità e divenendo parte di una struttura articolata su più paesi, fa sì che la questione del centro unico di imputazione possa assumere un rilevo non solo locale.
La giurisprudenza italiana si è già da tempo occupata dell’argomento, soprattutto con riferimento a due temi specifici: l’obbligo di repêchage e il computo dei dipendenti ai fini delle tutele applicabili in caso di licenziamento.
Quanto al primo profilo, come noto, l’obbligo di repêchage è un principio, di origine giurisprudenziale, volto a garantire che il licenziamento di un lavoratore avvenga solo dopo aver verificato l’esistenza di posizioni alternative in cui ricollocarlo, compatibilmente con le sue competenze professionali, sia all’interno dell’azienda che, a determinati presupposti, nell’ambito del gruppo di imprese.
Infatti, secondo consolidata giurisprudenza, l’obbligo di repêchage si estende non solo all’interno della singola impresa, ma anche al gruppo di imprese, laddove sussista un unico centro di imputazione dei rapporti giuridici, come sopra descritto.
Tanto premesso, la Corte di Cassazione ha affrontato alcuni casi riguardanti l’applicabilità dell’obbligo di repêchage anche alle sedi estere della Società datrice di lavoro.
Una delle sentenze più rilevanti sul tema, che potrebbe (alla luce dell’evoluzione internazionale del mercato del lavoro) aprire la strada alla giurisprudenza dei nostri giorni, è quella della Corte di Cassazione n. 16579 del 2010, con cui si è stabilito che l’obbligo di repêchage debba essere interpretato in modo ampio e comprendere anche la possibilità di ricollocamento all’interno delle filiali straniere.
Passando al secondo dei temi preannunciati, si evidenzia come possa accadere che, realtà aziendali nella sostanza unitarie decidano di dividersi in soggetti giuridici distinti anche al fine (illecito) di non superare la soglia occupazionale dei 15 dipendenti.
In queste ipotesi, laddove sussistente un unico centro di imputazione di interessi, la giurisprudenza sia di merito che di legittimità è concorde nel ritenere che, ai fini del computo dei dipendenti, da cui discende l’individuazione del regime di tutela applicabile in caso di licenziamento, si debba tenere conto di tutte le società (solo formalmente distinte).
Ma cosa accade se una delle società del gruppo, ad esempio la casa madre, ha sede all’estero? È possibile conteggiare il personale dipendente di quest’ultima per verificare il raggiungimento requisito dimensionale?
Sull’argomento, si sono espresse due sentenze di merito che sembra interessante riportare.
La Corte di Appello di Trento, ritenendo provata l’unicità della struttura organizzativa e produttiva di una società tedesca e della sua controllata italiana e giudizialmente riscontrati tutti i presupposti dell’unicità del centro di imputazione del rapporto di lavoro, ha accertato la sussistenza del requisito dimensionale dei quindici dipendenti richiesto dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, benché la datrice di lavoro formale (ossia la società italiana) non raggiungesse tale soglia (Corte appello sez. lav. – Trento, 23/05/2019, n. 23).
In un’altra fattispecie, anche la Corte di Appello di Milano, ritenendo esistente un unico centro di imputazione di interessi del rapporto di lavoro, ha stabilito che il requisito numerico necessario per applicare la disciplina dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, in caso di licenziamento illegittimo, debba tenere conto del cumulo dei dipendenti delle imprese coinvolte, anche se parte di esse operano in uno Stato diverso e alle dipendenze di una società di diritto straniero (Corte appello sez. lav. – Milano, 24/03/2014, n. 1597).
Nonostante le conclusioni a cui sono prevenuti i giudici nelle sentenze citate, non può non osservarsi come le questioni giuridiche che vengono in rilievo siano molto complesse, coinvolgendo non solo il diritto del lavoro italiano, ma anche le normative internazionali che, come è logico che sia, possono non essere coincidenti.
Tali pronunce offrono, in ogni caso, spunti interessanti per i futuri scenari che potranno crearsi nelle aule di Tribunale, tenendo conto che con le moderne tecnologie è sempre più frequente riscontrare che reparti e uffici siano strutturati coinvolgendo risorse fisicamente situate in paesi diversi, creando un’unica organizzazione indipendentemente dalla sede fisica.
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