IL RAPPORTO BIENNALE SULLA SITUAZIONE DEL PERSONALE NELL’AMBITO DEI NUOVI MODELLI SOCIETARI DI REPORTING
Avv. Giulietta Bergamaschi e Chiara D’Angelo
Lexellent
Sappiamo che il Rapporto biennale sulla situazione del personale (anche il “Rapporto”), previsto dall’art. 46 del Codice delle pari opportunità per come modificato dalla L. 162/2021, consiste in una relazione che attesta la condizione della popolazione aziendale maschile e femminile in relazione a temi quali: lo stato di assunzioni, formazione, la promozione professionale, i livelli di inquadramento, i passaggi di categoria o di qualifica, i fenomeni di mobilità, l’intervento della cassa integrazione guadagni, i licenziamenti, i pensionamenti e i prepensionamenti, la retribuzione effettivamente corrisposta.
La redazione del Rapporto (obbligatoria per le imprese che occupano più di 50 dipendenti e facoltativa sotto tale soglia) è un adempimento al quale le imprese dovranno provvedere entro le prossime settimane.
Infatti, come si legge nel Decreto interministeriale del 2 luglio u.s., a firma del Ministero del Lavoro e delle politiche Sociali e del Ministero per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, con riferimento al biennio 2022-2023, il Rapporto andava compilato entro il 20 settembre p.v. (il termine era stato inizialmente fissato al 15 luglio p.v.); rimane invece fermo, per le annualità future, il termine di trasmissione al 30 aprile dell’anno successivo alla scadenza di ciascun biennio.
Ma a cosa serve il Rapporto?
I motivi di rilevanza e utilità di tale documento sono vari e si attestano su più fronti.
Anzitutto, il Rapporto permette alle imprese di compiere un passo importante in tema D&I, anche in prospettiva dell’ottenimento della Certificazione di parità di genere sulla base dei criteri prescritti dalla PdR UNI 125/2022.
Ma v’è anche di più, in quanto, andando oltre i confini della normativa nazionale vigente, la redazione del Rapporto costituisce un passaggio che agevola le imprese rispetto ai nuovi modelli societari di reporting fondati sulla correlazione tra i fattori economici e quelli sociali in cui l’azienda opera.
La centralità del tema si collega anzitutto all’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile, vale a dire un programma di azione recante 17 obiettivi (c.d. SDGs – “Sustainable Development Goals”) da raggiungere in ambito ambientale, economico, sociale e istituzionale entro il 2030.
Soffermandoci sugli aspetti legati alla “D&I”, tra i traguardi fondamentali che l’Agenda si prefigge di raggiungere troviamo anche la lotta contro l‘ineguaglianza e la costruzione di società pacifiche che rispettino i diritti umani; traguardi che vengono declinati in specifici obiettivi quali l’uguaglianza di genere (n. 5), la dignità del lavoro e la crescita economica (n. 8), la riduzione delle disuguaglianze (n. 10).
In tale contesto, svariati sono stati gli interventi del legislatore eurounitario che hanno concretamente definito le modalità con cui le imprese possono documentare il proprio impegno per il raggiungimento degli standard internazionali.
Segnaliamo anzitutto la Direttiva UE 2014/95 (c.d. “NFRD” – Non financial reporting Directive – o “Direttiva Barnier”), basata sul principio per cui è opportuno che talune imprese di grandi dimensioni siano tenute a elaborare una dichiarazione di carattere non finanziario contenente un quadro completo e fedele delle informazioni sociali e ambientali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta contro la
corruzione attiva e passiva.
La Direttiva Barnier è stata recepita nel nostro ordinamento con il D. Lgs. n. 254 del 30 dicembre 2016 (entrato in vigore con riferimento alle dichiarazioni relative agli esercizi finanziari aventi inizio dal 1° gennaio 2017) e rivolto agli enti del settore bancario e assicurativo con oltre 500 dipendenti e un requisito economico dato da uno stato patrimoniale per oltre 20 milioni oppure da ricavi per oltre 40 milioni.
Il D. Lgs. 254 si pone l’obiettivo di dare al lettore del bilancio d’esercizio un’informativa ad esso integrata e complementare, recante tutte le informazioni necessarie per comprendere l’attività svolta, l’andamento e i risultati conseguiti, così permettere allo stakeholder di prendere decisioni consapevoli.
A tal fine, il Decreto prevede che nella dichiarazione non finanziaria vengano indicate le informazioni relative a temi quali:
- aspetti sociali e attinenti alla gestione del personale, con riferimento alle azioni poste in essere per garantire la parita’ di genere e alle misure volte ad attuare le convenzioni di organizzazioni internazionali e sovranazionali in materia;
- rispetto dei diritti umani, in relazione alle misure adottate per prevenirne le violazioni, nonché alle azioni poste in essere per impedire azioni discriminatorie.
Tuttavia, a livello europeo sono state individuate diverse carenze nella rendicontazione effettuata dalle imprese ai sensi della NFRD, specie dal punto di vista della mancata coerenza/comparabilità dei dati emersi tra i vari ordinamenti.
Pertanto, nel gennaio 2023 è entrata in vigore la Direttiva UE 2022/2464 del Parlamento europeo e del Consiglio (c.d. “CRSD” – Corporate Sustainability Reporting Directive), che si applicherà alle rendicontazioni relative agli anni finanziari dal 2024 in poi (da effettuare dal 2025) e dovrà essere attuata dagli SM entro il 6 luglio p.v. (allo stato, risulta recepita solo in Cechia, Danimarca, Francia, Romania e Svezia).
Le principali novità riguardano l’ambito applicativo, che rispetto alla NFRD verrà gradualmente ampliato fino a ricomprendere (dall’anno finanziario 2026 in poi) anche le grandi imprese non quotate con oltre 250 dipendenti (valore medio) e alle PMI quotate (escluse le micro-imprese).
La nuova normativa UE prevede che la “rendicontazione di sostenibilità” (concetto che sostituisce quello di “dichiarazione non finanziaria” fondante la NFRD) al considerando n. 49, che “I principi di rendicontazione di sostenibilità dovrebbero specificare le informazioni che le imprese devono comunicare riguardo a fattori sociali, compresi le condizioni di lavoro, (…) l’uguaglianza, la non discriminazione, la diversità, l’inclusione e i diritti umani. Tali informazioni dovrebbero riguardare l’impatto dell’impresa sulle persone, compresi i lavoratori, e sulla salute umana. (…) I principi di rendicontazione di sostenibilità che riguardano la parità di genere e la parità di retribuzione per un lavoro di pari valore dovrebbero specificare, tra l’altro, le informazioni da comunicare sul divario retributivo di genere, tenendo conto di altro diritto pertinente dell’Unione.”
Da ultimo, viene in rilievo la Direttiva sulle misure di due diligence per la sostenibilità delle imprese (c.d. “Corporate Sustainability Due Diligence Directive” – CSDDD o CS3D), il cui processo di adozione si è concluso il 24 maggio u.s., che introduce obblighi e responsabilità per le grandi imprese in merito agli impatti negativi delle loro attività sul rispetto dei diritti umani e sulla protezione dell’ambiente.
La Direttiva istituisce un obbligo di dovuta diligenza da parte delle imprese, allo scopo di individuare e affrontare gli impatti negativi potenziali ed effettivi sui diritti umani e sull’ambiente nelle attività delle società, nelle loro controllate e, più in generale, in tutta la catena del valore (dunque, anche con oneri di controllo anche nella filiera dei fornitori e degli altri partner commerciali).
Dal comunicato ufficiale pubblicato sul sito della Commissione Europea apprendiamo che la CSDDD (ancora non pubblicata sulla GUUE) si rivolgerà alle grandi società dell’UE con oltre 1000 dipendenti e oltre 450 milioni di euro di fatturato (netto) in tutto il mondo, nonché alle grandi imprese extra-UE con oltre 450 milioni di euro di fatturato (al netto) nell’UE.
Di contro, la normativa in tema di “due diligence” non riguarderà direttamente le PMI e le microimprese, anche se queste ultime potranno essere indirettamente interessate in quanto partner commerciali nelle catene del valore.
Dal breve excursus svolto si evince, conclusivamente, come il Rapporto biennale, rappresentando una “fotografia” aziendale che permette di paragonare la situazione del personale maschile e femminile, possa costituire una prima elaborazione che l’impresa potrà trasporre nei nuovi modelli di reporting delineati dalla disciplina UE, al fine di dare atto del proprio impegno per l’equità delle condizioni di lavoro e per la prevenzione delle diseguaglianze di genere.
In tale ottica, peraltro, va considerato come tutti gli adempimenti connessi alla rendicontazione di sostenibilità comportino per le imprese dei benefici che vanno al di là del semplice adeguamento alle prescrizioni di derivazione comunitaria: infatti, dando atto di un’organizzazione orientata alle aspettative dello sviluppo sostenibile, gli operatori economici potranno migliorare la propria immagine sul mercato, così incrementando il livello di competitività, e permettere agli stakeholder di comprendere il valore degli investimenti sul fattore umano dell’organizzazione aziendale.
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