2019-10-07

DE FALCO E GROMPE

Come tutelare il patrimonio aziendale da atti di concorrenza da parte di ex-lavoratori – Il patto di non concorrenza

di  Horst Grompe, Rodolfo De Martinis  e Davide Cinelli

La comprensibile preoccupazione di ogni azienda, al momento della cessazione di un rapporto di lavoro, è la tutela e la salvaguardia del proprio avviamento /know how, intesi in senso ampio, nei confronti dei concorrenti.

L’ordinamento fornisce uno strumento: il patto di non concorrenza.

Si tratta di un accordo tra l’azienda ed il lavoratore, accessorio al contratto di lavoro. Lo stesso può essere stipulato al momento della sottoscrizione del contratto con lavoro o successivamente. Da una prospettiva puramente negoziale, appare più semplice stipularlo contestualmente.

Per la sua validità l’art. 2125 del Codice Civile richiede:

  • la forma scritta;
  • la pattuizione di un corrispettivo;
  • limiti determinati di oggetto, tempo e luogo.

Per evitare che il patto sia fragile sin dalle fondamenta occorre richiamare l’attenzione sui due aspetti più delicati da considerarsi in fase di negoziazione del patto di non concorrenza:

  1. la congruità del corrispettivo e le modalità di erogazione;
  2. l’estensione dei limiti imposti al lavoratore

Quanto alla congruità del corrispettivo, la giurisprudenza ha più volte chiarito che la stessa deve essere valutata tenendo conto di diversi fattori. Tra questi: la misura della retribuzione, l’estensione dei limiti imposti dal patto e la professionalità del lavoratore. Il corrispettivo deve infatti essere idoneo a compensare il sacrificio richiesto al lavoratore e la riduzione delle sue possibilità di guadagno. Lo stesso andrà determinato con particolare attenzione in quanto la non congruità comporta la nullità del patto.

Non c’è una regola generale e la valutazione finale, in caso di contenzioso, è rimessa al giudice.

Il corrispettivo per il patto può essere erogato sia in costanza di rapporto di lavoro, insieme alla retribuzione, sia successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro, in una unica soluzione o a rate. Alla luce di alcune recenti pronunce, appare preferibile prevedere l’erogazione dopo la cessazione del rapporto di lavoro: il corrispettivo pagato in aggiunta allo stipendio in costanza di rapporto di lavoro oltre a rischiare di non essere determinabile dal principio, potrebbe infatti essere non congruo in caso di un rapporto di lavoro di breve durata.

Peraltro, in ipotesi di pagamento rateale durante il periodo di validità del patto, la società risulterebbe maggiormente tutelata in caso di violazione del patto stesso, in quanto potrebbe sospendere il pagamento.

Quanto alla estensione dei limiti, in punto di oggetto e luogo, se è pacifico che il divieto può riguardare territori molto ampi (in ogni caso definiti) come tutto il territorio della Unione Europea, e qualsiasi attività lavorativa che possa competere con quella del precedente datore, sia essa subordinata o meno, la giurisprudenza ha più volte sottolineato come, a pena di nullità, il divieto imposto non possa precludere in assoluto al lavoratore la possibilità di impiegare la propria capacità professionale nel settore economico di riferimento e non debba compromettere la possibilità per il lavoratore stesso di assicurarsi un guadagno idoneo alle esigenze di vita.

Anche in questo caso, la valutazione di tali limiti deve essere effettuata attentamente e tenendo conto del caso specifico e la valutazione finale, in caso di contenzioso, è rimessa al giudice.

Non pone particolari problemi invece il limite di tempo. La norma è chiara: non può essere superiore a 5 anni per i dirigenti o a 3 anni negli altri casi. Termini maggiori eventualmente concordati devono considerarsi automaticamente ridotti. Il datore di lavoro, in sede di negoziazione, dovrà dunque essenzialmente valutare attentamente la relazione tra il corrispettivo da versare e l’effettivo beneficio.

Due ulteriori aspetti di grande interesse per il datore di lavoro sono come garantire una maggiore effettività del patto e come tutelarsi in caso di violazione del patto di non concorrenza da parte del lavoratore.

Per raggiungere il primo scopo, rispondendo anche alle esigenze di tutela, l’azienda potrà prevedere all’interno del patto una penale, che predetermina in misura forfetizzata il danno subito dell’azienda sollevando questa dall’onere di provare il suo ammontare effettivo in caso di violazione.

L’ammontare della penale dovrà essere commisurato al potenziale danno per il datore di lavoro tenuto conto del bilanciamento tra l’interesse all’esecuzione del patto, l’ammontare della penale stessa e l’ampiezza dei vincoli in capo al lavoratore.

L’importo della penale potrà sempre essere oggetto di riduzione da parte del giudice, ma una eccessività della stessa non incide in ogni caso sulla validità del patto.

Se nonostante la previsione della penale il lavoratore dovesse in ogni caso violare il patto, a seconda dell’interesse del datore di lavoro, si potrà richiedere la risoluzione del patto stesso, con il conseguente obbligo di restituzione del corrispettivo eventualmente già pagato, oltre al risarcimento del danno subito, oppure, nel caso sia prevalente l’interesse al rispetto del patto, si potrà richiedere l’emissione di un provvedimento d’urgenza che intimi l’adempimento del patto di non concorrenza.

In chiusura occorre precisare che il patto di non concorrenza, essendo un accordo bilaterale, autonomo e distinto dal contratto di lavoro, può essere risolto solo consensualmente. Non è dunque ammesso il recesso unilaterale.

Per quanto riguarda invece la possibilità di prevedere un diritto di opzione in capo al datore di lavoro volto ad attivare un patto di non concorrenza, se in un primo momento la giurisprudenza ammetteva  tale ipotesi, a condizione che l’opzione venisse esercitata prima della cessazione del contratto di lavoro, le più recenti pronunce hanno considerato nulla una tale clausola, che andrebbe ad incidere sin da subito sulle scelte lavorative, tanto da travolgere l’intero patto per indeterminatezza temporale dell’obbligo assunto dal lavoratore. Occorrerà dunque valutare la cosa molto attentamente.

In conclusione

Un patto di non concorrenza formulato con attenzione, tendendo conto della singola e specifica situazione del datore di lavoro, del lavoratore e del segmento di mercato interessato, potrebbe essere un valido deterrente alla dispersione del know how aziendale nel momento successivo alla cessazione di un rapporto di lavoro, determinando il lavoratore a non prestare i suoi servizi per una azienda concorrente. 

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